E' da settimane che in un crescendo straordinario di mobilitazione,
lavoratori, studenti, sindacati e nuovi movimenti tengono in scacco il
governo francese. Pietre Moscovici, commissario UE ha speso la sua autorità per sostenere contro la
rivolta di popolo la Loi Travail. La legge che copia il Jobs Act
di Renzi e la precedente legge Fornero, liberalizzando i licenziamenti
economici.
E che soprattutto cancella il contratto nazionale rendendo
più forti i contratti aziendali, cosa già possibile da noi con
l’articolo 8 della legge Sacconi, fatto proprio da diversi accordi
sottoscritti da CGIL CISL UIL, che rende valide le “deroghe”, cioè il
peggioramento, delle regole dei contratti nazionali in sede aziendale.
Tutto il lavoro che ha fatto funzionare Expo a Milano è stato regolato
secondo queste deroghe.
Queste due misure, libertà di licenziamento e superamento dei
contratti nazionali, erano già tra i punti programmatici fondamentali
indicati al governo italiano il 5 agosto del 2011 dalla lettera di
Draghi e Trichet, a nome della Banca Centrale Europea. Sono oggi nelle
raccomandazioni e nei diktat che la UE e la Troika rivolgono verso i
paesi che devono aggiustare i conti.
In Italia la passività e la complicità dei gruppi dirigenti di CGIL CISL UIL,
unite al logoramento dei movimenti di massa, alla autodistruzione della
sinistra radicale e ad un più generale clima di dissolvimento dello
spirito democratico, di cui il renzismo è solo l’ultimo prodotto, hanno
permesso che simili misure passassero sostanzialmente senza ostacoli.
In Francia invece, per la seconda volta dopo la Grecia, assistiamo ad una ribellione generalizzata contro le regole economiche e sociali che governano l’Europa.
Dopo il No popolare per ora sconfitto in Grecia dopo la resa di
Tsipras, la rivolta francese parla di nuovo a tutta l’Europa. E lo fa
con la voce di un popolo che nella storia del nostro continente ha
spesso suonato quella campana che poi hanno sentito tutti.
Il maggio 2016 in Francia ricorda come progressione della
mobilitazione quello del 1968 ed è un segnale di sovvertimento generale
degli equilibri di potere del continente. Segnale tanto più
significativo in quanto la rivolta è contro un governo Pseudo-socialista. democristiani, conservatori, sono oggi le forze politiche
che, spesso assieme e sempre con le stesse politiche liberiste,
gestiscono il potere della Unione Europea.
Merkel, Hollande, Cameron, Renzi
sono parte dello sistema di potere, per questo la rivolta
francese, quale che sia il suo risultato finale, segna un punto di
svolta e rottura. Rottura che si é realizzata nella piccola Austria,
dove da destra e da sinistra gli elettori hanno mandato a picco
democristiani e socialisti al governo da sempre. La stessa rottura, e
anche qui il risultato non sarà la sola cosa a contare, ci sarà a giugno
con il referendum sulla Brexit e, seppure in un
contesto diverso, da noi in ottobre con quello sulla controriforma
costituzionale.
È tutto il sistema europeo che scricchiola e lo fa sotto
l’estendersi del rifiuto e della contestazione popolare. È una crisi da
accogliere con gioia.
Ci si chiederà come sia stato possibile rinunciare a decidere sugli
aspetti fondamentali della propria vita sociale, economica e politica,
accettando il potere quasi assoluto di un cancro chiamato liberismo UE dietro la quale si sono nascosti gli interessi concreti
delle élites economiche, delle classi più ricche e delle caste
politiche e burocratiche di tutti paesi del continente. Tutte queste
élites non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese,
ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica
distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo
vivendo. Da sole non ce l’avrebbero fatta a smantellare la più
importante conquista dei popoli del continente, il patrimonio storico
politico che l’Europa avrebbe dovuto accrescere e contribuire ad
estendere in tutto il mondo: lo stato sociale.
Lo stato sociale era stato sancito dalle costituzioni antifasciste
del dopoguerra. Quelle costituzioni che, come la nostra, si erano date
l’obiettivo non della semplice eguaglianza giuridica contenuto nei
vecchi statuti liberali, ma quello della eguaglianza sociale.
Questo sistema costituzionale non poteva piacere alla finanza
internazionale.
Non c’è sciocchezza ideologica più fuorviante
dell’affermazione secondo la quale il limite del progetto europeo è che
esso sia solo economico e non politico. È vero sostanzialmente il
contrario. Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per
agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il
liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali. I trattati e i patti che la istituiscono e
governano, da quello di Maastricht al Fiscal Compact, disegnano
l’architettura rigorosa di un sistema di potere con scopi chiari, cioè secondo le
regole della competitività e del massimo profitto.
La rivolta dei lavoratori e dei giovani francesi
sconvolge i piani ultraliberisti dell’Europa e segna l’avvio della sua
crisi. I popoli hanno cominciato a capire la verità di fondo di questo
sistema europeo e cioè che esso non è riformabile, può solo essere
rovesciato. La campana
francese suona a morto per l’Unione Europea delle banche e
dell’austerità e tutti gli europei non possono che festeggiare e seguire l’esempio degli scioperanti francesi.
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