Non è così semplice. Se mettiamo in fila le
componenti principali di una cultura fascista (in tutte le sue sfumature, fino
al nazismo) troviamo sì il razzismo, il nazionalismo, il patriottismo
esasperato, la violenza contro i diversi, l’esaltazione di valori o
pseudo-valori che tengono unito il branco. Ma questo produrrebbe solo un’aggregazione
di pochi che finirebbe per costituire una sorta di cancro sociale più o meno tollerabile
e arginabile per una democrazia cosciente di sé e dei limiti che deve porre per
difendersi e restare tale. Invece, l’aspetto più subdolo della cultura fascista
è il suo rivolgersi ai molti, solleticando sentimenti e pulsioni da cui nessuno
di noi è del tutto immune. E’ in questo marasma di confusione e pregiudizi, di
ignoranza e arroganza che prosperano tutte le proposte assimilabili col
fascismo che hanno un unico tratto comune: la negazione di diritti umani
fondamentali che finisce per essere accettata quasi inconsciamente.
Innanzitutto la paura. Paura
dell’oggi e del domani (particolarmente acuta nei momenti di crisi economica),
paura dello straniero, paura del diverso. Creare un “nemico” esterno e interno
è stato, infatti, uno dei principali strumenti della propaganda nazi-fascista.
Lo spiegava bene Marcuse quando analizzava in "Davanti al nazismo” l’evoluzione delle strategie di Hitler per costruire il “nemico
interno” caricando sugli ebrei ogni immaginaria colpa storica e antropologica,
a giustificazione preventiva della “soluzione finale”. Ma, per agire sulle
paure, non c’è nemmeno bisogno di inventare colpe e di addossarle ad un popolo
intero o ad una religione, come fu con gli ebrei o come potrebbe essere adesso
con i musulmani. A volte basta un’esaltazione becera della propria “civiltà”
come qualcuno ama fare oggi, da noi.
Poi c’è la presunzione di esser
moralmente migliori degli altri, perfino di quelli che non conosciamo e di cui
non abbiamo nemmeno sentito parlare oppure abbiamo sentito parlare male da
altri a cui, incautamente, abbiamo creduto. Paradossalmente, ma non poi così
tanto, una “contessa rossa” della DDR raccontava, qualche anno fa in un
convegno sull'emigrazione, che lo shock più duro che ebbero i cittadini di
Berlino est alla caduta del muro fu
scoprire che i cittadini della Repubblica Federale Tedesca, tanto criticati e
denigrati dai dirigenti del partito comunista come borghesi egoisti, innamorati
solo dei soldi, succubi delle multinazionali e perfino violenti erano soltanto
persone normali che lavoravano per mantenere la famiglia ed erano perfino
gentili e premurosi nell'accoglienza dei “fratelli separati”. Il problema non è,
quindi, essere migliori o peggiori di altri, ma essere più coscienti della
nostra condizione e di quella che vivono gli altri. Magari anche parlando, con
questi “altri”.
Una terza caratteristica dei
soggetti suscettibili di tracimare oltre gli argini della democrazia e di
sconfinare nel nazi-fascismo è credere di essere destinati ad un futuro radioso
e glorioso, in nome del quale si sentono legittimati a liberarsi con ogni mezzo
possibile e immaginabile di tutto quanto ingombra la strada della loro marcia trionfale. E
tanto peggio se tra quanto si oppone al loro marciare decisi e compatti ci
sono uomini, donne e bambini coi loro bisogni e le loro miserie. Mussolini riuscì a giocare su questa illusione di “grande futuro” e, fino alla promulgazione delle
leggi razziali nel 1938, continuò ad avere buoni rapporti con famiglie ebree i
cui membri avevano combattuto valorosamente nella prima guerra mondiale e, per
questo motivo si sentivano patrioti e si illudevano di poter esser partecipi
della costruzione di un’Italia gloriosa. Non si accorsero nemmeno dei ballons
d’essay che il Duce fece lanciare, tra il 1936 e il 1937 da alcuni
opinionisti a lui vicini, contro gli ebrei, su varie riviste, proprio per
creare un clima popolare di sostegno alle discriminazioni e, successivamente,
alla consegna degli ebrei italiani ai nazisti.
Non basta, quindi,
individuare atteggiamenti autoritari o impositivi per gridare al
fascismo: il fascismo è tale solo quando ha un seguito di massa che tutti noi,
con la nostra indifferenza e i nostri attendismi rischiamo di contribuire a
creare. L’aveva detto chiaramente nel 1988 il Presidente del Bundestag, Philipp Jenninger, ai tedeschi. Ma i tedeschi non l’hanno voluto capire e l’hanno
interpretato il suo discorso come se Jenninger (un democristiano forse troppo
onesto intellettualmente) volesse accusare di nazismo l’intero popolo tedesco. Non
solo storicamente, quindi, ma anche concettualmente fascismo e nazismo sono
l’incontro tra una teoria che si offre come salvifica e un’adesione popolare
che crede in questa speranza di salvezza e di gloria. Fare i puri e denunciare
non basta, credersi di sinistra non basta, bisogna agire per dare alternative a
una moltitudine di persone confuse e frustrate, aggregandole su altri valori
che non sono necessariamente l’esser seduti a destra o a sinistra in Parlamento
(sedere, notoriamente, non è né un valore, né una virtù …).
Ma anche questo non basta.
Se invece di limitarci a fare dell’ironia sui partiti che negano i più
elementari diritti umani, che fomentano la paura dello straniero e del diverso,
che si siedono tranquillamente sulle Costituzioni inventando parlamentini
scissionisti, incominciassimo a non invitare più i loro esponenti a tutti i talk show che offrono una platea
aggiuntiva per i loro sproloqui, se cominciassimo a denunciarli, sì, a
denunciarli ai tribunali, a chiedere che i loro giornali siano chiusi per
propaganda razzista e che i loro discorsi siano interrotti (per lo stesso
motivo), aiuteremmo la nostra democrazia a difendersi e, soprattutto, migliaia
e forse milioni di persone capirebbero che stanno per cadere in una trappola di
illegalità diffusa e tollerata che può portare molto, molto lontano. Perché, parafrasando al
negativo una stupida frase attribuita a Voltaire e citata spesso a vanvera, “per
certe tue libertà di espressione che violano e invitano a violare i diritti
fondamentali io non sono assolutamente d’accordo né di battermi, né tanto meno di
morire.”
E poi c’è ancora una cosina
che possiamo fare da subito: i diritti umani. Finché rimangono un elenco su una
Carta dell’ONU servono sì e no a creare o disfare alleanze nel quadro della
diplomazia internazionale. Se, invece, li consideriamo la base irrinunciabile
del nostro vivere quotidiano – e, sinceramente, credo che ci sia poco di più
nelle nostre Costituzioni, ognuna delle quali è, ovviamente, “la più bella del
mondo” – è nel nostro agire quotidiano che devono essere fatti vivere e affermati.
Se riusciamo a risparmiare qualche energia di quelle che spendiamo a piene mani
nella denuncia del malaffare, dei potenti, dei governi, dei politici, delle
multinazionali, delle banche e di tutti i poteri occulti che, di volta in
volta, il web ci propone, avremo qualche risorsa di tempo e di attenzione in
più per guardarci intorno e cominciare a dialogare con gli oppressi e gli
sfiduciati, non per colpevolizzarli di seguire l’uno o l’altro imbonitore
fascistoide, ma per dar loro un po’ di speranza, almeno nella spicciola,
marginale, ma essenziale solidarietà tra umani.
(giacomina
cassina)
0 commenti:
Posta un commento