
Giovanni Pollara ha ragione da vendere : usiamo
in modo sciatto la nostra lingua e
questo è un indizio di sfilacciamento della nostra identità e della nostra
cultura. Per rendere più appetibili le
chiacchiere dentro un mondo di comunicazioni ormai all’insegna dell’immagine e
non della sostanza, infarciamo l’italiano di termini inglesi (spesso a
sproposito).
Vediamo solo alcune parole e/o espressioni e,
soprattutto, vediamo se non si possa farne a meno (l'elenco è molto limitato, ma potremo sempre ritornarci anche su suggerimento dei nostri lettori).
Parto dall’esempio di Stakeholders, fatto da Giovanni che
significa “portatori di interessi”: si può usare, a seconda dei contesti, parti interessate,
rappresentanti di interessi, cittadini. E sarebbe decisamente meno equivoco. Aggiungo anche Shareholders che, se lo diciamo in italiano, cioè azionisti, sappiamo subito di chi si tratta. Gli uni e gli altri hanno interesse che i risultati siano buoni, quindi evitiamo di riempirci la bocca con la parola Performance che vuol dire anche spettacolo, oltre che prestazione e risultato.
rappresentanti di interessi, cittadini. E sarebbe decisamente meno equivoco. Aggiungo anche Shareholders che, se lo diciamo in italiano, cioè azionisti, sappiamo subito di chi si tratta. Gli uni e gli altri hanno interesse che i risultati siano buoni, quindi evitiamo di riempirci la bocca con la parola Performance che vuol dire anche spettacolo, oltre che prestazione e risultato.
Evidence, che in inglese significa “prova” in un’indagine o un
processo, ma anche in altri contesti, per esempio nella ricerca scientifica,
quando è italianizzato in “evidenza”,
con lo stesso significato è del tutto inutile e può suonare perfino ridicolo. Come se, usando il tedesco invece dell’inglese, parlassimo di Weltanschauunga” per dire “visione del mondo”. Da evitare, insomma: parliamo di prove e riscontri che basta. .
Un’interiezione usata a torto e a traverso è “assolutamente” per dire “sì”: è vero
che in inglese (Absolutely significa proprio “assolutamente”, niente di strano) è
usatissima per rafforzare lo yes e anche da sola per indicare
un’affermazione convinta. Ma forse, in italiano, come rafforzativo del sì
è un tantino sopra le righe. In ogni caso, evitare di usarlo da solo, è
troppo roboante. Basterebbe dire certo
o certamente.
Facciamo un po’ di chiarezza anche sullo Spread:
viene dal verbo to spread che significa estendersi,
trasmettersi, propagarsi, arrivare fino a. Nel linguaggio economico indica
la differenza tra due indicatori; si tratta, cioè, del “differenziale”
e non è un valore assoluto: se evocato senza riferimenti, quindi, non significa
un accidenti anche se indicato con una cifra molto alta o molto bassa (già: alta e bassa rispetto a che cosa?). Bisognerebbe dire
sempre, ad esempio, “spread o,
meglio: differenziale BTP/Bund”
ossia tra i buoni italiani del tesoro pluriennali e quelli tedeschi (Bund).
Potevamo tacere sul JOBS ACT? Act significa “azione, atto, comportamento, rappresentazione teatrale, opera”, ma anche “finzione” e, solo alla fine, “legge”. Ahi ahi ahi, legislatore-fai-da-te! E’ evidente che, unita a Jobs la parola ha un significato ben concreto di azione/legge per i posti di lavoro (Job è il posto di lavoro concreto, non il lavoro in generale che si dice, invece, Work) ma se sapessero davvero l’inglese e ragionassero su tutti i significati scivolosi che la parola Act implica, forse lo chiamerebbero solo “legge per il lavoro”.
Se andiamo sul politico non ci accorgiamo nemmeno più che
stiamo parlando italiano: ci sono i “Ghost-writers” (=
scrittori-fantasma), ossia quegli assistenti che sanno scrivere i discorsi per
i personaggi pubblici i quali, a volte, sanno perfino leggerli; poi troviamo i PR
(Public
Relations, sottinteso “Man”) ossia quelli che curano le
relazioni pubbliche (sempre per i personaggi di cui sopra), gli Speakers,
cioè quei poveri diavoli, colti e soprattutto tanto abili quanto obbedienti,
che vengono mandati in conferenza stampa quando si vuole evitare qualche
scomoda trappola giornalistica (alla peggio, vengono licenziati in tronco, se
qualcosa va storto). E, infine, troviamo Lui, il Leader! Standing
ovation, cioè l'applauso fatto alzandosi in piedi … lo so che è una
circonlocuzione un po’ arcaica, ma forse il Leader la merita a prescindere dal merito... Leader
vuol dire capo, comandante, guida. Non vorrete passare alla banalità
dell’italiano, quando nella storia Castro è “il Leader Massimo” e Kim
Jong il “il Caro Leader” ? E poi si chiama Leader anche il più grande
distributore di videogiochi in Italia e, per finire, c’è anche un programma
dell’UE si chiama LEADER ed è rivolto agli
agricoltori. Ma con la parola Leader non ho finito: moltissimi
anni fa, quando cominciarono a scricchiolare i km della Salerno-Reggio
Calabria sotto i colpi delle ruberie
politiche e c’era Giacomo Mancini (calabrese) a capo del PSI e Ministro dei
Lavori pubblici dal 1964 al 1968, una cattivissima rivista di destra (il Borghese,
diretto da Gianna Preda, una donna tanto intelligente quanto violenta a parole
e concetti) passò alla storia per questo titolo “Si scrive Leader, si legge Lader” (cioè “ladro” in molti dialetti, specie del nord). Vedete un po’ voi che
cosa farne della parola Leader …
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